
Anno 186 , 10° dopo la fine della Guerra per la Conquista.
Testimonianza raccolta da Armonio Antìreto da Redan, storico.
AUTUNNO
IL RACCONTO DI ALI
Mi è rimasto fermo nella mente, quel giorno, come fosse appena trascorso, come se appena ieri fosse accaduto tutto; sono le parole che mancano per raccontare, anche se è ormai il tempo di farlo: molte stagioni, da allora, hanno segnato la terra… abbiamo seminato e raccolto, cresciuto bambini, perduto vecchi e qualche giovane, qui a Miniòr.
Tu che studi i fatti del passato e vuoi sapere quel che avvenne allora, siediti e ascolta: c’ero anch’io sulla strada per il Giardino delle Pietre Lucenti.
Hai fatto davvero tanta strada per venire a cercarmi, scendendo il Piccolo Fiume, da Angabar sino a Miniòr che è l’ultimo villaggio, il più vicino ai Monti del Salto.
Siediti e ascolta, ma prima vuoi bere? Vuoi qualcosa da mangiare?
È stato lungo il viaggio, lo so, anche se sei giovane e la stanchezza per ora non senti: è troppo forte la curiosità…
Dimmi questo soltanto, prima che io incominci a raccontare: hai visto Silento, sei già stato alle Torri?
Tanto tempo è passato da quando ci lasciammo; che ti ha detto di me? Ti ha parlato di noi?
Allora ricorda, ricorda ancora, anche se non ci rivedremo mai più.
Cominciò tutto un mattino di sole – spuntavano le erbe nuove, profumavano i fiori – e qui a Miniòr gli uomini erano già nei campi, come oggi che avanza l’autunno e si sta dall’alba nei vigneti… è per questo che vedi solamente vecchi attorno alla fontana, e i bambini giocano davanti alle case.
Guarda laggiù, quello con i capelli come i miei, è mio figlio; è molto alto per la sua età: accostati alla finestra, lo vedrai meglio, sta giocando con la palla di stracci che gli ho preparato usando la giacca ormai vecchia che portavo nel viaggio.
Sì, proprio quella, la giacca che mi coprì le spalle sette giorni, che mi riparò dal freddo e dalla calura, dalla pioggia e dai raggi brucianti del sole. Però è passato tanto tempo, si è sdrucita in più punti, una manica si è staccata.
Ne ho fatto una palla di stracci e lui è stato felice. Tu sai come può essere felice un bambino, con poco sorride, proprio con poco.
Quel mattino il sole era caldo, lo risento sulla pelle, lo rivedo splendente fra le case di Miniòr, ricordo un’aria leggera, gli uccelli che passavano da un albero all’altro cantando.
Ero qui, in questa stessa stanza con mia madre e parlavo del pranzo da cucinare, della casa nuova che Ginostro preparava per noi; il sole lanciava la sua luce d’oro di pulviscolo splendente proprio lì, dove ora sei seduto tu, sui mobili che mio padre aveva intagliato nelle sere d’inverno.
D’improvviso sentimmo le voci, bambini che gridavano chiamando le madri, uscimmo tutti a guardare come oggi, quando sei arrivato tu.
Sempre la solita vita, qui a Miniòr, non viene mai nessuno a visitarci: la città è lontana.
Passano uguali i giorni, con il sole che nasce dietro a quel monte, trascorre il cielo illuminandolo e scaldando la fontana e tutte le sue case intorno; infine arriva la sera e il bosco si fa rosso nel tramonto, nelle case si accendono i fuochi.
Sembrava proprio un giorno come tutti gli altri, quello.
Eravamo fuori, ed erano passati pochi minuti dai richiami dei bambini, guardavamo stupiti la vecchia Viandante che entrava nel cerchio delle case, posava il mantello color polvere e la bisaccia di pelle, si chinava a bere alla fontana e si passava l’acqua sulla fronte rugosa, sulle guance scavate, si bagnava i capelli grigi ed irsuti.
Sedette, infine, sul bordo della fontana.
