Sarebbe stato dolce naufragare

Nuvole sparse tra le dita

L’alzarsi all’alba, ogni mattina, scendere per prendere la legna ed accendere la stufa.

Preparare il caffè e buttarlo giù caldissimo, quasi scottarsi lingua e palato, ma così è più buono altrimenti non sa neppure di caffè.

Chiamare chi ancora dorme forte, aprire le persiane al nuovo giorno.

Rifare i letti buttando alla finestra le lenzuola e  le coperte ogni mattina.

Spazzare sotto il letto, scopare ogni giorno la scala pulire i fornelli

Cucinare risparmiando perchè è sempre stata dura: le tagliatelle verdi tirate a mano con le punte tenere delle ortiche, la torta di asparagina patate pane ammollato nel latte qualche uovo, il bianco mangiare e il budino piemontese fatto con una caramella disciolta per dare buon sapore.

I piatti, lavati tutti a mano e risciacquati con l’acqua fredda, il bucato fatto nel fiume; ora quasi non usare la lavatrice e sorridere lieve se si dice.

La stanza chiusa, la…

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Ventisette

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Sei gli abiti accatastati sulla sedia, buttati lì la sera prima quando ti sei alzata stanca dal divano a notte piena, dopo aver dormito un sonno buio e senza sogni, per andare a coricarti nel letto. Non avevi avuto la forza di far altro.

Sei il ciclamino appassito nel vaso sul terrazzo. L’avevi piantato nell’ autunno e poi dimenticato; ora è tardi per confortarlo con l’acqua fresca di bottiglia mescolata alle lacrime di questa mattina,  ventisette febbraio e il sole che nasce dietro ai tetti.

Sei l’orologio che singhiozza secondo per secondo il tempo perso a pensare sempre lo stesso pensiero.

Sei la molletta che si spacca mentre stendi una lunga sciarpa nera con qualche perla bianca ogni tanto.

Sei il grido dell’ uccello che passa in alto fuori veloce: non si ferma, non si ferma ed è il cielo che sussulta al suo volare.

Sei l’unghia dell’ anulare che si è spezzata e non fa male, ma raschia contro tutto ciò che incontra e tira fili.

È un vuoto colmo, il tuo, il sacchetto di naftalina che si è rotto ed ha sparsa tutto intorno una spessa polvere bianca odorosa.

E’ quando l’aria gelida della sera entra tra gli abiti, li gonfia e li percorre. Il sole del mezzogiorno invece scalda e riempie di oro il cielo. Una violetta chiara è nata tra marciapiede e asfalto, leva il viso in alto: sarà marzo, sarà primavera, saranno giornate lunghe e piene mentre sdraiata sulla sdraio anche tu guarderai  su l’azzurro.

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Sole dipinto su chiazze di neve
di tra gli alberi scarni. Le colline
si piegano soavi ad invocare
passi di giovinezza. È tardi, è tardi
ora e il riassaporarli amaro.
Ma è felicità nell’aria, e voglia
d’incontri ha il cuore per solinghe strade,
dove già forse qualche orma di primule
lascia coi nudi piedi primavera

SOLE DI FEBBRAIO
F. PASTRONCHI